La neve, sorprendente, è tornata a dipingere di bianco i paesaggi del monte Amiata, contribuendo così a regalare agli occhi dei visitatori panorami inediti, dove primavera e inverno sfumano in eccezionali scorci. Ma la neve a maggio non dovrebbe cadere e quando accade, inevitabilmente, ci chiama a scavare nella memoria cercando di recuperare almeno un’altra volta che questo fenomeno è accaduto. Così, andando a ritroso il collegamento è al 1980.
Il 23 maggio di 39 anni fa è un giorno che sicuramente a ricordarselo sono Moser, Contini, Visentini e tanti altri ciclisti che in quell’anno disputarono il Giro d’Italia. Era fine maggio quando la carovana rosa scalò scalò l’ antico vulcano e i corridori si trovarono ad affrontare le dure salite dell’Amiata con temperature rigide, tipicamente invernali, e la neve a bordo strada. Era la tappa “Castiglione della Pescaia – Orvieto”, 200 chilometri di sali e scendi dove le salite del monte Amiata non furono delle semplici pendenze ma il terreno dove la resistenza e la forza degli atleti furono messe severamente alla prova.
Gli amanti del ciclismo, quelli più affezionati alla “Corsa Rosa” sicuramente ricorderanno questa tappa descritta benissimo in un articolo di “Storia e Memorie” di Mario Silvano. Silvano parlando di questa gara non si fa problemi a descriverla come “la terribile tappa di Orvieto” iniziata con la pioggia di Castiglione della Pescaia, proseguita con la neve – ecco perché terribile – del Monte Amiata, e terminata ad Orvieto dopo circa 5 ore di corsa e dei ritardi accumulati sul vincitore di oltre 30 minuti. “Già alla partenza, infatti, piove e i primi sessanta minuti vengono percorsi ad una media quasi cicloturistica. – scrive Mario Silvano nel suo articolo – I girini pedalano a trenta all’ora sulle strade allagate dall’acqua del Grossetano. Cinque atleti non si lasciano scoraggiare dal tempo inclemente e prendono il largo: Tosoni, Bertacco, Noris, Antonini e Bernadeau allungano e ad Arcidosso – racconta- hanno un vantaggio di quasi cinque minuti sul plotone”.
Il Monte Amiata accoglie gli atleti con la nebbia, quella fitta, e con il freddo pungente. Il racconto prosegue: “In vetta, a 1420 metri di quota, – commenta – transita per primo Bernadeau, che ha staccato i compagni di fuga. Contini e Visentini hanno allungato e passano a poco più di due minuti. Hinault, più staccato, è a 2’25″. La discesa su Abbadia San Salvadore è un continuo gioco di equilibrio ed il freddo diventa insostenibile. A Piancastagnaio Bernadeau è raggiunto da chi ha saputo cavarsela meglio, limando le curve e stringendo i denti”. Quella tappa se la portò a casa Contini, Visentini prese la “Maglia Rosa”. Moser, in una giornata che poteva sembrare favorevole alle sue caratteristiche, soffrì molto il freddo delle discese dell’Amiata. Altre dichiarazioni rilasciate dai ciclisti parlarono del sali e scendi amiatino come una terribile esperienza. Le telecamere della tv di allora non erano come oggi ma quelle poche riprese che ci giunsero catturarono solo in parte la fatica e il freddo che gli atleti furono chiamati ad affrontare. Era il 23 maggio di 39 anni fa e la neve seppe stupire, chiamando l’uomo a sfidarla.