“C’è un posto nel mondo” quinto lungometraggio di Francesco Falaschi girato interamente su Monte Amiata. Il film è una storia drammatica scritta a quattro mani da Falaschi e Alessio Brizzi. La proiezione è in programma alla Camera dei Deputati
“C’è un posto nel mondo” è un film in tre episodi sul tema del vivere nell’Italia interna, tra voglia di partire, restare, tornare. In questo senso il regista Francesco Falaschi recupera la passione per il cortometraggio, mai abbandonata in 25 anni di attività, ma stavolta costruendo un trittico di storie (sono tre episodi) unite dalla comune ambientazione amiatina e legate dal tema dell’abitare i luoghi geograficamente periferici, quelli definiti “fuori rotta, ” ma che possono diventare un nuovo centro. E’ una storia drammatica, il film indaga i temi dell’ appartenenza, del cambiamento e della ricerca di un equilibrio tra legami passati e aspirazioni future. Oggi pomeriggio, nella sala Berlinguer della Camera dei Deputati è prevista la proiezione del film. Seguirà dibattito con i deputati del Pd Marco Simiani, Irene Manzi, Matteo Orfini, Marco Sarracino, il regista Francesco Falaschi, e il sindaco di Santa Fiora, Federico Balocchi. Sarà presente il cast artistico.
L’Amiata al centro delle riprese
Il cortometraggio è stato girato tra il 2023 e il 2024 nei paesi di Santa Fiora, Arcidosso e Castel del Piano ed è sostenuto dai tre comuni amiatini dove sono state girate le scene più dall’Associazione Ildebrando Imberciadori e la Cooperativa di Comunità Il Bordo di Montelaterone. La produzione del film è Kahuna Film, in collaborazione con Associazione Storie di Cinema, Tvedo e Filmworkers.
Il film ci presenta il drammatico tema dello “spopolamento” dei piccoli centri
Il film, girato nei più suggestivi angoli dell’Amiata, esplora il delicato equilibrio tra il desiderio di partire e il richiamo delle proprie radici. Una storia intensa e attuale, che racconta le sfide e le speranze delle comunità dei piccoli centri italiani. Quello dello spopolamento delle aree interne è un fenomeno di cui sta sempre di più soffrendo il nostro Paese, specialmente al Sud ma non solo. Ben il 58% del territorio italiano è classificato come “aree interne”, dove però vive appena il 22,7% della popolazione. Ormai da diversi anni i comuni geograficamente più lontani dai principali centri urbani, e in particolare i paesi più piccoli, stanno subendo una progressiva diminuzione delle opportunità lavorative e presentano ridotte possibilità di accedere da parte dei cittadini ai servizi essenziali come istruzione, mobilità e sanità. Inoltre queste zone periferiche sono tendenzialmente carenti di infrastrutture fondamentali e di proposte culturali adeguate, anche per la mancanza di risorse economiche. Comprensibile che i giovani appena possono se ne vadano e che raramente ritornino per ritrovare insieme alle loro radici un contesto in cui progettare il futuro. Il problema si acuisce nelle zone montane, dove le distanze e la complessa situazione logistica non agevolano le risposte ai vari bisogni sociali degli abitanti.